Venerdì,
come sempre, i gemelli escono dall’asilo portando a casa la loro bustina con la
challà e i vari regali che spesso sono caramelle. Questa volta però i doni sono
tanti e propiziatori per la prossima festa di Rosh ha Shanà. Ovviamente in
classe c’è stata una lunga spiegazione delle festa, visto che trovo i gemelli
preparatissimi nel sapere il perché si mangia il melograno, il miele, il grano
e tutto l’altro indicato nella lettera di accompagnamento. Quella sera, noi di
famiglia, decidiamo di andare a mangiare la pizza vicino casa. Prendo Emanuele
per mano e, mentre chiacchieriamo, lui mi chiede se stiamo andando alla festa
di Rosh ha shanà. No, amore, rispondo, stiamo solo andando a mangiare una pizza.
E allora quando mi porti alla festa con la melograna, vestiti di bianco, a
mangiare l’agnello e il grano come ha detto la maestra stamani?… Amore, noi non
andiamo a quella cena e non festeggiamo quella festa. Ma perché mamma? L’ha
detto la maestra che va festeggiato così il Capodanno. Amore, perché noi non
siamo ebrei. Ehhh? Ma che dici mamma? Non lo dire più neanche per scherzo! Sei
brutta se dici così, sei proprio birbona che lo dico al babbo e …… (si è
trattenuto per pensare a qualcosa di bruttissimo da dirmi, per contraccambiare
la cosa bruttissima che gli avevo detto, quella che lui non è ebreo) … io sai
cosa, non ti racconto più cosa sogno!
Abbiamo
poi mangiato la nostra pizza in
pizzeria, che era, in effetti, molto più triste della cena di Rosh ha shanà,
soprattutto perché ho realizzato di essere vittima di una discriminazione “inversa”
e di aver sottovalutato che, per un bambino preciso come Emanuele, sarà dura
avergli fatto fare la vita di ebreo per due anni e per poi dovergli dire che,
scherzavo, ebrei noi non siamo.
Nessun commento:
Posta un commento