Venerdì scorso, fresca di una
cancellazione appena fatta dalla materna che frequentano i gemelli, che mi fa
sentire più leggera di 100 kg
e camminare a 3 metri
dal pavimento, vado a prenderli a scuola e i due mi scappano. Davanti all’uscita
della scuola c’è un grande piazzale, adiacente al quale c’è il parcheggio da un
lato e il parco pubblico dall’altro. Ovviamente io li volevo portare via da
tutto e salire subito in auto, per andarcene ad altri giardini, ma loro hanno
pensato bene di rincorrere i compagni di classe (non tutti, molti aspettano tranquilli
vicino alle loro mamme, ma ovviamente quelli non interessano, piacciono di più
i bimbi scalmanati che, a tre anni, vengono lasciati andare da soli ai
giardini). Mi infurio, perché perdo il controllo dei miei bimbi vendendoli
correre, sprezzanti, in direzioni opposte. Mente annebbiata, decido,
sbagliando, di rincorrere Margherita e lasciare solo Emanuele che scappava dalla
parte opposta, dritto nel parcheggio delle auto. Agguanto lei, infuriata, e
trovo lui disteso in terra senza fiato, dalla botta in testa che ha battuto
cadendo di fronte. Sono accecata: carico tutti e due in auto a forza, ignorando
il bernoccolo del bimbo, che da subito è spaventoso, sicura che glielo avrei
medicato a casa. Ma l’omissione tempestiva del ghiaccio sulla fronte del bimbo
ha reso il bernoccolo stratosferico. Arrivo a casa e chiamo il Gangster subito,
che arrivi immediatamente, gli urlo, sono imbestialita. Metto i due bimbi
seduti vicini sul divano e inizio a brontolarli con voce tuonante, una
brontolata che dura venti minuti di fila, fino a quando non arriva il loro
babbo. In tutto quel tempo urlo loro che
non si scappa, che non devono essere birboni, che è pericoloso scappare e la
fronte di Emanuele ne è la prova e, soprattutto adotto la tecnica pedagogicamente
riprovevole, di dire che se non promettono di non scappare più io non andrò più
a prenderli, mandando sempre la baby sitter. Parole magiche. I due diventano
mogi mogi, mi danno la mano dicendo parola d’onore non scappo più, e mi cercano
per fare la pace. Ok, so che è stato un tiro basso, so che mai si dovrebbe
giocare sulla paura dell’abbandono da parte della mamma, ma a mali estremi
estremi rimedi. Ho poi rassicurato i bimbi, ho detto loro che voglio ad
entrambi un sacco di bene e via, ordine ristabilito e pensavo fosse finita lì.
Il giorno dopo però, mentre eravamo in silenzio in auto, solo noi tre,
sento che Emanuele mi chiede chi vada a prenderli adesso a scuola, perché la
mamma ha detto che non verrà mai più mai più e che andrà molto al cinema (cosa
che io non avevo assolutamente detto, ma che ha aggiunto lui visto che le mie
uscite per il cinema sono una delle sue paure. Margherita conferma, ripete e
aggiunge: la mamma ora va sempre al cinema e il babbo al lavoro. Ecco cosa ho
combinato: per chi avesse colto solo quel pezzo di conversazione, passo per
mamma scriteriata che non va mai mai a prendere i bimbi perché va sempre al
cinema mentre il babbo è al lavoro.
"Sono due gemelli" fu il risultato dell'ecografia. Siamo stati per tanto solo in due, adesso siamo diventati quattro: MammaPi, BabboGangster, GemellaMina, GemelloEmino
mercoledì 25 febbraio 2015
martedì 24 febbraio 2015
Storia del we
Come sempre, ogni fine settimana
porta la sua storia, anche se le previsioni lo darebbero per tranquillo e
sonnolento
La storia dell’ultimo we è
questa.
Sabato mattina partenza via,
presto presto tutti fuori che dobbiamo andare ad inglese. Hello, bye bye uauaiu
(how are you, in gemellese), che dovevano (nelle mie intenzioni) iniziare i
sabati mattina al Canadian, istituto madrelingua inglese dove il sabato mattina
è possibile portare i bimbi a fare varie attività. In teoria era bellissimo,
dovevano essere gruppi di massimo 5 bambini, dovevano stare tutta la mattina,
dovevano… e invece ci ritroviamo in un caos disorganizzato, io rimango lì con i
bimbi, impaurita come loro per il grande affollamento di bambini di varie età e
per la totale assenza di un progetto educativo delle educatrici (che hanno l’unico
pregio di essere madrelingua, per il resto zero), con Emino stretto alla mia
mano che mi dice: “Mamma andiamo via, a
me qui non mi piace” e io che avrei tanto voluto rispondergli Amore, non
piace neanche a me, certo che andiamo via, ma che non l’ho fatto perché non
volevo che lui imparasse che quando un posto non gli piace la mamma lo salva. Siamo
un po’ rimasti lì, ho constatato che non era quello che volevo e così, alle 9
siamo arrivati e alle 10 siamo usciti. Che si fa a quest’ora, con un tempo che
minaccia pioggia? Ci fermiamo in una pasticceria a riflettere, che davanti ad
una brioches a me passa tutto. Mente fredda, ecco la prima soluzione: telefono
ad una mia ex collega che abita lì vicino. Mi scuso per l’ora e per la
maleducazione, e mi invito a casa sua. Lei si trova spiazzata (ma io lo ero di
più, sola con i bimbi…) e così troviamo rifugio da lei, anche se dopo poco
capisco che è l’ora di salutare. Via in macchina, è sempre presto, ancora non
piove e così andiamo ai giardini vicino casa. Non c’è nessuno o quasi, si sta
che è una meraviglia, è che dopo poco……. wrumm, pioggia a scroscio. Davanti a
quei giardini c’è una scuola di inglese per bambini, leggo che da marzo partono
nuovi corsi per i bimbi e andiamo a prendere informazioni. Per i gemelli lì c’è
uno spazio di gioco libero, dove loro si accomodano subito e la ragazza della
reception, carina, mi dice di aspettare pure lì, finchè non smette di piovere. Così
prendo informazioni per quel corso di inglese per i gemelli, che è molto più
tranquillizzante visto che viene fatto a piccoli gruppi di massimo 4/5 bambini,
e poi a me serve qualcosa da far fare a loro il sabato mattina, che lasci me
libera di fare qualche commissione. Ok, fissiamo la prima lezione di prova,
smette di piovere e ce ne andiamo a mangiare la pizza a taglio lì vicino, dove
le proprietarie sono due ragazze carine e allegre che adorano i gemelli, che li
coccolano e li fanno divertire nel portarli a lavare le mani e fare la pipì. Così
risolto anche il problema pranzo, oltre che la mattina. A casa, pisolino (io
compresa) lungo lungo, quando si svegliano fuori piove e quindi ci aspetta un
pomeriggio casalingo, dove ci viene a trovare Guenda e il fidanzato (con grande
paura di Emino, che quando vede apparire Guenda mi chiede subito impaurito dove
io vada), giochi (adesso piace molto il gioco del bar, dove loro bevono la
spremuta appoggiando i bicchieri al tavolino, come fossero al bar. Loro felici
e anche io, che le spremute fanno tanto bene), Topolino alla tv, cena e a letto
e grazie tanto per essere passato anche oggi.
La domenica abbiamo anche la
Gangster compagnia e, tutti insieme, ce ne andiamo alla
Sinagoga ad iscrivere i gemelli alla materna ebraica. Finta l’iscrizione è
presto per pranzare, così ce ne andiamo a piedi alla Giostra in piazza della
Repubblica e torniamo a piedi alla Sinagoga, dove avevamo lasciato l’auto, decidendo
di pranzare al ristorante ebraico. Che è piccolo e raccolto, pieno di persone
che vogliono godersi un tranquillo pranzo domenicale ma che sono costretti a subire
i nervosismi dei gemelli, scatenati come mai, nervosi e dispettosi da far
spavento. Cerchiamo di fare il prima possibile per far finire tutta quella confusione
che i due fanno e scappiamo via, quasi vergognandoci. A casa il Gangster, non
abituato a tanto, prende una pasticca per il mal di testa. Ci ristabiliamo solo
quando quelle due piccole pesti decidono di addormentarsi dopo pranzo. Il
Gangster quasi si arrabbia quando io poi, visto il perdurare del pisolino fino
a pomeriggio inoltrato, li sveglio, impaurito da quei due suoi figli
scalmanati. Quando io, scherzando, gli chiedo ora dove ci porti tutti? Lui mi
guarda inorridito dicendo voi siete matti, con me avete chiuso.
venerdì 20 febbraio 2015
Cambio e chiudo
L’asilo che frequentano i gemelli
è carino tanto. Anche se in piena zona industriale, è un prefabbricato celeste
sbiadito che si affaccia su un giardino pubblico e i camion e il traffico, che
per arrivare ti impensieriscono, lì zap, per incanto svaniscono. Anzi, in quel
microclima incantato,si sentono gli uccellini cinguettare. La scelta di quell’asilo
è scaturita da un fulmineo innamoramento, sia degli uccellini che cantavano,
sia delle maestre che sorridevano generose. Visto e preso e chi se ne importa
se la zona è molto popolare, se non è proprio vicinissimo casa, se il numero di
bimbi in classe è numeroso. L’importante è, ci siamo detti quando con il
Gangster lo abbiamo visto (e preso) che sia un ambiente piccolo e raccolto. Il
resto non conta.
Così dicevamo allora, che era un
anno fa. Poi, con la frequentazione, l’ambiente è iniziato a contare, anche se
i bimbi sono piccoli e sono tutti figli
di Dio. Da subito, all’ingresso e all’uscita, quando si radunano i genitori, quando
mi sono guardata in giro, mi sono sempre sentita strana. L’ho pensato e non
detto, credendo che poi sarebbe passato. Ma non passava e ho confidato questa
mia sensazione al Gangster, che ha pienamente ricambiato. Poi è successo che c’era
la possibilità di far frequentare, all’intera classe, un corso di teatro in
inglese. Io, ingenua e speranzosa, l’ho caldeggiato ai genitori e mi sono
sentita dire no, assolutamente. Però alla festa di Halloween, che cadeva
proprio in quella settimana, hanno partecipato tutti numerosi (noi no,
ovviamente). E lì mi sono chiesta se quello volevo per i miei bimbi, una cena
di classe (a tre anni????) al Circolo della zona, per festeggiare una festa
sconosciuta. Ho stretto i denti e ho continuato l’osservazione. La sensazione
di essere nel posto sbagliato continuava e anzi, si rafforzava. Facendo buon
viso a cattivo gioco sorridevo e tentavo di socializzare con persone che mai avrei frequentato, ma i nostri bimbi erano
in classe insieme… Ma non funzionava, perché io mi chiedevo ma che c’entro io
con questa gente?
Poi c’è stata la riunione di
classe, la prima, che io ritenevo importante e alla quale sono andata sicura di
trovare nel gruppo genitori un proposito educativo comune. Invece mi sono
ritrovata ad una riunione che sembrava la birrata al circolo, con genitori
ridanciani che si confortavano l’uno con l’altro per la poca educazione del
figlio reputando i bimbi vivaci e maleducati, dei bimbi divertenti e, perché no,
dei vincenti. Sono tornata a casa sconfortata. Ne ho parlato con il Gangster e
lui ha sottovalutato la cosa, dicendo che ai gemelli avrebbe fatto bene
frequentare un ambiente duro, con bimbi vivaci, dai quali avrebbero imparato a
difendersi. Sconfortata, ne ho parlato con una maestra, paventando l’ipotesi di
non far proseguire in quella scuola i prossimi anni di materna. Lei ha avuto
una reazione di sconforto, si è messa la mano sul cuore e mi ha detto che le
stavo dando un dispiacere, perché i gemelli danno tanto alla classe e perché loro
si affezionano ai bambini. Mi si è allargato il cuore: mi son detta che se le
maestre pensano questo i miei bimbi sono al sicuro e visto che tutte le mattine
i due vanno volentieri a scuola, loro non avevano problemi e il problema era
solo mio. Per questo avevo riconfermato l’iscrizione per il prossimo anno.
Poi succede che arrivano i
pomeriggi di sole, sono ancora brevi e così decido di non andare ai soliti
giardini più lontani ma di rimanere un po’ in quei giardini lì vicini, che si
riempiono di tutti i compagni di classe dei gemelli. E dei relativi genitori.
Mi si apre un mondo. Bimbi vivaci no, maleducati sì, genitori che non li
riprendono, e una forte e strana, costante sensazione che noi lì con loro non
ci entriamo niente. Anche se i gemelli sono affascinati dai bambini più
violenti, sai quali devo combattere per separarli. Quasi mi cascano le lacrime
a pensare che i miei due riccioli dorati cresceranno con simili personaggi. Ovviamente
prima di diventare mamma pensavo che tutti i bimbi sono figli di Dio, ora che
sono mamma penso che .. stai lontano da mio figlio. Guardo e ascolto i discorsi
dei genitori e mi incupisco. Questo non può essere il nostro contorno. Non ci
dormo per due notti. Dopo la prima notte insonne trovo la soluzione al problema
elementari, scovando una scuola, ben lontana da lì, dove manderemo i gemelli. Ma
dopo la seconda notte insonne, dovuta allo sconforto di dover rimanere lì
comunque altri due anni, mi documento e di nuovo mi innamoro della materna
privata alla quale eravamo intenzionati ad iscrivere i gemelli prima che ci
prendessero in quella pubblica. Comunico al Gangster la mia decisione, come
sempre gli do il tempo per pensare e, come sempre lui dopo poco mi telefona e
mi dà l’ok: procedi, dice. Detto fatto: ieri cancellata la riconferma per il
prossimo anno, domenica mattina andremo a fare la nuova iscrizione alla materna
ebraica.
martedì 17 febbraio 2015
Il caso Paperina
Ultimo giorno di Carnevale. Ormai
i giochi sono fatti: per quest’anno niente maschere, sono saltate feste e
festicciole causa varie influenze e anche causa vari motivi.
Così non è stato sciolto il
problema che ha investito questo Carnevale. Per gli amici e conoscenti
familiarmente denominato “caso Paperina”.
All’inizio di Carnevale, quando i
preparativi fervevano e le proposte di feste impazzivano, mi sono premunita di
chiedere ai gemelli da cosa si volessero vestire. Visto che il loro cartone
preferito (anzi, l’unico cartone che guardano) è La casa di Topolino, subito
Marghe ha detto che le sarebbe piaciuto vestirsi da Minni anzi, da Ninni, come
la chiama lei. Al che, mi sembrava proprio carino formare la coppia, e ho detto
ad Emino che lui si sarebbe vestito da Topolino. Lui ci pensa, dice sì e subito
dopo no e mi fredda con un: “No, io da
Paperina”. Al che lo correggo e gli dico: Ah, da Paperino? Lui no, continua
ad affermare che si vuol vestire da Paperina. Sicuro e deciso, dimostra che non
è stato un inciampo di vocale finale, era proprio Paperina che voleva dire.
Prima mia reazione: nessuno si
veste in maschera e saltiamo il Carnevale (di certo era impensabile per me
portarlo ad una festa vestito da femmina). Poi penso è piccolo, non se ne
accorge, gli compro il vestito da Topolino e quando lui trova solo quello, da
Topolino si vestirà (come poi ho fatto, ho comprato Minnie e Topolino e stop).
Poi succede che per lavoro segua un
progetto sulla discriminazione di genere, dove sento dire che da piccoli non ci
sono cose da maschio e da femmina ma cose che piacciono o meno e mi sento
colpita e affondata. Rifletto, mi confronto con il Gangster (che è perentorio:
non ti provare a vestire il mio bambino da femmina), butto lì il problema alla
responsabile del progetto sulle differenze di genere che, di nuovo, mi dice che
così piccoli per loro maschio o femmina non esiste e quando però allargo a
conoscenti (diventando così “il caso Paperina” per molti) sento le risposte più
disparate. C’è chi dice che mi capisce e che se fosse successo a lei mai
avrebbe mandato ad una festa il figlio vestito da Paperina, chi invece mi dice
che lo potevo accontentare, tanto era Carnevale (rivelando così una certa
elasticità solo perché a Carnevale tutto è permesso), chi mi dice che lo
avrebbe accontentato (ma ovviamente chi me lo dice non ha figli), chi mi
racconta dei propri figli adulti che conservano foto di quando da piccoli giocavano
con le bambole, cosa che amano fare anche da grandi, riferendosi alle varie
fidanzate … insomma, il caso Paperina ha trovato varie risposte, tutte però
fortemente di genere.
E io, come già detto, ho adottato la doppia soluzione: 1) ti compro
Topolino e quello te lo devi far piacere, 2) quest’anno niente feste, lasciamo
quei vestiti al prossimo anno e che un anno in mezzo porti consiglio all’aspirante
Paperina che rinsavisca e accetti di diventare Topolino
venerdì 13 febbraio 2015
Poi lui si ammalò, e si accorse che lei..
Poi lui si ammalò e lamentava di
essere un uomo distrutto, con un’influenza dove la febbre aveva toccato anche
punte di 37,7! Non si mosse dal letto (mai visto il Gangster in pigiama tutto
il giorno), non si rase, deambulò solo per prendere le sue innumerevoli
medicine di cui si riempie quando è così malato grave.Ovviamente ogni tanto mi
succedeva di prenderlo in giro, per lamentarsi tanto di così poco, ma venivo
tacciata di ingrata e di senza cuore, così l’ho assecondato in silenzio
pensando quel che tutte le donne pensano sempre: site uomini, non avete il
fisico. Doveva accompagnare lui i gemelli all’asilo ma, ovviamente, non ce la
faceva a uscire di casa (una così grave influenza poteva sfociare in bronchite
o, addirittura, in broncopolmonite, sentenziava l’ammalato) e così è toccato
andare a me ad accompagnare i bimbi, presto presto perché io sarei dovuta
essere al lavoro, dove sono arrivata in rocambolesco ritardo. Poi mi ha
aspettato per pranzo, chiedendo che gli portassi un tramezzino perché era così
debole che poteva solo mangiare qualcosa di morbido e così io, dopo aver recuperato
il ritardo del lavoro, mi sono dovuta catapultare pure a fare la spesa, per
esaudire le sue innumerevoli richieste di quasi moribondo. Torno a casa un
attimo, lo saluto e si fa l’ora di uscire di nuovo per andare a prendere i
bimbi all’asilo. Lui, il malato, mi intima di non tornare a casa subito, perché
ha bisogno della casa silenziosa per la sua degenza. Così io, grazie alla
bellissima giornata, mi trattengo ai giardini con i bimbi e quando torniamo a
casa i gemelli vanno al capezzale del babbo a misuragli la febbre e lui,
affranto, prende e accende loro la tv perchè proprio non ce la fa a stare dietro
a quei bimbi. Io nel frattempo stiro, preparo la cena, chiamo i bimbi per fare
loro la doccia, li faccio cenare, li metto un po’ in camerina a leggere e
chiamo lui, l’influenzato, perché si alzi dal letto di agonia per venire a cena.
Ceniamo, faccio lavatrice e lavastoviglie e, mentre lui si gode il
telegiornale su divano, mi dice: “Brava sei, ma quante cose fai, sono proprio
orgoglioso di te, fai tutto da sola”.
Bene, ecco a cosa è servita l’influenza:
non a fare stare un giorno a riposo il Gangster ma a fargli vedere come trotta
la moglie del Gangster e perché quando lui la sera torna a casa, lei gli dice
sempre che è stanca.
venerdì 6 febbraio 2015
Tre e uno
Come per magia poi, le cose
cambiano. O si rovesciano, oppure spariscono o vengono sostituite da altre.
Abbiamo passato l’ultimo mese
terrorizzati dai risvegli notturni di Marghe, che ha passato notti chiamando “mamma Paluina vieni subito” anche
cinque volte per notte, ad intervalli di un’ora, rendendo me isterica e lei
spossata. Abbiamo pensato anche che fosse sonnambula, visto che la mattina dopo,
interrogata, negava tutto.
Poi, improvvisamente, non si è
più svegliata e ha ripreso a passare lunghe notti russando. Certo, di nuovo c’è
che adesso entrambi dormono in compagnia di animali di peluches, cosa mai successa prima.
Adesso lei si è fatta forte e
decisa, di carattere. Mi saluta con un bacio umido sulla bocca, ma si stacca
subito da me e corre verso la sua vita. Lui invece adesso mi sta attaccato come
una cozza: vuole baci in piedi e anche in braccio, con stretta forte da parte
di entrambi, torna in dietro per salutarmi ancora e si lamenta della presenza
della baby sitter spiegandomi, dietro mia richiesta, che ha visto tante
Guendaline….. che vuol dire che c’è stata troppe volte Guenda a sostituirmi. Per
questo forse adesso, senza motivo, corre verso di me e mi abbraccia forte e mi
bacia appassionato, come un fidanzato innamorato, più che un bimbo bisognoso e
poi piange con la bocca in giù, come fanno i bimbi piccoli e disperati, se
sente dire che la mamma non rimarrà ma verrà la baby sitter.
Lui usa sempre la forza con lei,
quando vuole un giocattolo che ha la sorella glielo strappa di mano, mentre lei
usa l’astuzia per avere ciò che vuole e, quando si accorge che il fratello ha
un giocattolo più divertente, dice: ora cambio Mele, come se fosse obbligatorio
cambiare al suo ordine.
Però quando le ho chiesto chi
fosse il suo migliore amico, lei ha risposto, per due volte di seguito,
Emanuele, scartando decisa tutti i nomi dei bimbi dell’asilo con i quali
pensavo fosse affine.
Iniziano a giocare insieme,
preparano il caffè a tavolino e portano a spasso i loro nuovi animali di
peluches tenendoli per guinzaglio, avventurandosi nel giro della casa insieme
mentre si accompagnano con risate e dialoghi ai quali io sono esclusa.
A volte li ho sorpresi anche ad
intrattenersi facendo gli indovinelli, imitando quelli che faccio io a loro, è
solo che loro iniziano rivelando subito l’animale, tipo, invece che dire: qual
è quell’animale che ha il collo lungo… loro dicono subito: qual è quella
giraffa che ha il collo lungo…
Nel silenzio della loro
cameretta, la mattina presto o la sera prima di addormentarsi, cantano insieme
le canzoni che imparano all’asilo, una vera passione quella del canto per loro,
anche sele altre passioni continuano ad averle diverse: lei
adora disegnare, lui adesso vuol solo suonare la chitarra e le percussioni,
improvvisando una batteria con quel che trova in casa, basta che produca suoni
diversi.
E io me li godo divertita, nella loro vena artistica che spero di aver
insegnato loro a coltivare e spero che li accompagni per tutta la vita
mercoledì 4 febbraio 2015
Ho sentito dire cinema
Il martedì sera è sacrosanto.
Ciao a tutti, io vado al cinema con la mia amica LGP.
Unica amica rimasta fra quelle “prima
dei gemelli” (le altre si sono defilate tutte), io e lei, appassionate di
cinema e, soprattutto bisognose di film, ci siamo mantenute un giorno nostro di
cinema, al quale non manchiamo mai. Scegliamo sempre qualche film proiettato
nei cinema vicino casa, l’orario è il primo serale o, addirittura, l’ultimo
pomeridiano e, che piove o che nevichi, che qualcuno pianga o brontoli, io
saluto tutti e la raggiungo.
Quando erano piccoli i bimbi non
si accorgevano di niente, si addormentavano presto e io uscivo quando loro già
dormivano, poi ho iniziato a salutarli dicendo che andavo al cinema e loro, non
capendo bene cosa volesse dire, mi salutavano tranquilli sicuri che sarei
tornata dopo poco.
Poi si sono fatti grandi, al
cinema dove vado sempre li ho pure portati una volta, ma solo a comprare un
biglietto per un mio spettacolo serale, in modo che loro vedessero come è fatto
e dove era il famoso cinema, e hanno iniziato a realizzare che quando io vado
lì, loro rimangono in casa senza me.
A questo si è sommato anche,
ultimamente, un eccessivo uso della baby sitter, dovuto al fatto che non ho più
permessi al lavoro e ho anzi, molte ore pomeridiane da fare in più, cosa che ha
fatto essere molto presente Guendalina e molto assente la sottoscritta.
Per questo, penso, siamo arrivati
alla saturazione: Emino mio, la settimana scorsa, mi ha fatto promettere, con
tanto di stretta di mano e parola d’onore data da me, che saremmo stati tre
giorni da soli senza vedere la baby sitter. Gliel’ho promesso e ho anche ben
mantenuto la promessa.
Però, povero piccolo mio, lui
deve essere stato proprio colpito da questa mia tanta assenza che, nei tre
giorni solo nostri, mi ha fatto ridere quando, noi tre soli in casa, lui a un
certo punto si è fermato e mi ha detto impaurito:”Mamma, sento la voce della Guenda”, quando della Guenda non c’era
neanche l’ombra….. Un'altra volta invece mi ha detto, di nuovo impaurito: Mamma, ho sentito dire cinema..”. Per
questo ieri sera, di nuovo martedì e di nuovo al cinema, quando l’ho raccontato
a LGP, ci siamo ritrovate a ridere e abbiamo adottato quella frase come nostro
motto: ho sentito dire cinema
lunedì 2 febbraio 2015
Due giorni interi
Non l’avrei mai pensato, ma ci
sono riuscita.
Un fine settimana intero in casa
con i gemelli.
Una prova che avrebbe impaurito
anche Mary Poppins.
Era troppo piovoso per uscire e,
quando non pioveva, era troppo freddo per uscire.
Ci siamo riusciti, senza neanche
troppe Case di Topolino viste, un cartone animato must per i due, praticamente
l’unico vero interesse che hanno in questo periodo.
Ovviamente loro spontanea sveglia
alle 7, mentre i giorni in cui devono andare all’asilo quando esco di casa alle
7,40 ancora dormono beati. Invece questo fine settimana alle 7 ho sentito soavi
vocine che mi chiedevano: Mammina, dove
andiamo ora? E lì, con la pioggia battente che imperversava e la neve che
ci circondava, ho capito che sarebbe stata dura.
Invece poi abbiamo giocato a fare
la spesa, hanno giocato a fare il caffè (con tanto di documentato momento “bar”
sul tavolino davanti al divano, del quale ormai si sono appropriati). Ho
provato anche, sabato pomeriggio, a proporre loro la visione di un film intero,
Lilly e il Vagabondo, per vedere se insieme riuscivamo, propedeuticamente, ad
iniziare i nostri futuri “pomeriggi al cinema”. Ma i due non hanno seguito la
storia e dopo un’iniziale paziente finta attenzione, hanno richiesto La casa di
Topolino e ho dovuto rinunciare al nostro primo cartone lungo.
Unico momento di svago all’aperto,
a parte l’inaspettata la pizza del sabato sera con il Frafratello, babbone e
nonna, è stato domenica mattina, in un piccolo intervallo fra la pioggia furiosa
che ha imperversato in questi due giorni, quando mi sono detta approfittiamone
ora e….. viaaaaa, mettiamo gli stivali di gomma e andiamo a saltare nelle
pozzanghere! Grande divertimento loro (che, in effetti, sono sempre contenti di
tutto), boccata d’aria mia, e poi di nuovo a casa.
Quando li ho messi al letto
domenica sera mi sarei data una medaglia da sola ma, ad onor del vero, avrei
dato una medaglia anche a loro, piccoli pulcini pazienti che dove li metti e
dove stanno.
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