mercoledì 25 febbraio 2015

Pedagogicamente scorretto andare sempre sempre al cinema



Venerdì scorso, fresca di una cancellazione appena fatta dalla materna che frequentano i gemelli, che mi fa sentire più leggera di 100 kg e camminare a 3 metri dal pavimento, vado a prenderli a scuola e i due mi scappano. Davanti all’uscita della scuola c’è un grande piazzale, adiacente al quale c’è il parcheggio da un lato e il parco pubblico dall’altro. Ovviamente io li volevo portare via da tutto e salire subito in auto, per andarcene ad altri giardini, ma loro hanno pensato bene di rincorrere i compagni di classe (non tutti, molti aspettano tranquilli vicino alle loro mamme, ma ovviamente quelli non interessano, piacciono di più i bimbi scalmanati che, a tre anni, vengono lasciati andare da soli ai giardini). Mi infurio, perché perdo il controllo dei miei bimbi vendendoli correre, sprezzanti, in direzioni opposte. Mente annebbiata, decido, sbagliando, di rincorrere Margherita e lasciare solo Emanuele che scappava dalla parte opposta, dritto nel parcheggio delle auto. Agguanto lei, infuriata, e trovo lui disteso in terra senza fiato, dalla botta in testa che ha battuto cadendo di fronte. Sono accecata: carico tutti e due in auto a forza, ignorando il bernoccolo del bimbo, che da subito è spaventoso, sicura che glielo avrei medicato a casa. Ma l’omissione tempestiva del ghiaccio sulla fronte del bimbo ha reso il bernoccolo stratosferico. Arrivo a casa e chiamo il Gangster subito, che arrivi immediatamente, gli urlo, sono imbestialita. Metto i due bimbi seduti vicini sul divano e inizio a brontolarli con voce tuonante, una brontolata che dura venti minuti di fila, fino a quando non arriva il loro babbo. In  tutto quel tempo urlo loro che non si scappa, che non devono essere birboni, che è pericoloso scappare e la fronte di Emanuele ne è la prova e, soprattutto adotto la tecnica pedagogicamente riprovevole, di dire che se non promettono di non scappare più io non andrò più a prenderli, mandando sempre la baby sitter. Parole magiche. I due diventano mogi mogi, mi danno la mano dicendo parola d’onore non scappo più, e mi cercano per fare la pace. Ok, so che è stato un tiro basso, so che mai si dovrebbe giocare sulla paura dell’abbandono da parte della mamma, ma a mali estremi estremi rimedi. Ho poi rassicurato i bimbi, ho detto loro che voglio ad entrambi un sacco di bene e via, ordine ristabilito e pensavo fosse finita lì.
Il giorno dopo però, mentre eravamo in silenzio in auto, solo noi tre, sento che Emanuele mi chiede chi vada a prenderli adesso a scuola, perché la mamma ha detto che non verrà mai più mai più e che andrà molto al cinema (cosa che io non avevo assolutamente detto, ma che ha aggiunto lui visto che le mie uscite per il cinema sono una delle sue paure. Margherita conferma, ripete e aggiunge: la mamma ora va sempre al cinema e il babbo al lavoro. Ecco cosa ho combinato: per chi avesse colto solo quel pezzo di conversazione, passo per mamma scriteriata che non va mai mai a prendere i bimbi perché va sempre al cinema mentre il babbo è al lavoro.

martedì 24 febbraio 2015

Storia del we



Come sempre, ogni fine settimana porta la sua storia, anche se le previsioni lo darebbero per tranquillo e sonnolento
La storia dell’ultimo we è questa.
Sabato mattina partenza via, presto presto tutti fuori che dobbiamo andare ad inglese. Hello, bye bye uauaiu (how are you, in gemellese), che dovevano (nelle mie intenzioni) iniziare i sabati mattina al Canadian, istituto madrelingua inglese dove il sabato mattina è possibile portare i bimbi a fare varie attività. In teoria era bellissimo, dovevano essere gruppi di massimo 5 bambini, dovevano stare tutta la mattina, dovevano… e invece ci ritroviamo in un caos disorganizzato, io rimango lì con i bimbi, impaurita come loro per il grande affollamento di bambini di varie età e per la totale assenza di un progetto educativo delle educatrici (che hanno l’unico pregio di essere madrelingua, per il resto zero), con Emino stretto alla mia mano che mi dice: “Mamma andiamo via, a me qui non mi piace” e io che avrei tanto voluto rispondergli Amore, non piace neanche a me, certo che andiamo via, ma che non l’ho fatto perché non volevo che lui imparasse che quando un posto non gli piace la mamma lo salva. Siamo un po’ rimasti lì, ho constatato che non era quello che volevo e così, alle 9 siamo arrivati e alle 10 siamo usciti. Che si fa a quest’ora, con un tempo che minaccia pioggia? Ci fermiamo in una pasticceria a riflettere, che davanti ad una brioches a me passa tutto. Mente fredda, ecco la prima soluzione: telefono ad una mia ex collega che abita lì vicino. Mi scuso per l’ora e per la maleducazione, e mi invito a casa sua. Lei si trova spiazzata (ma io lo ero di più, sola con i bimbi…) e così troviamo rifugio da lei, anche se dopo poco capisco che è l’ora di salutare. Via in macchina, è sempre presto, ancora non piove e così andiamo ai giardini vicino casa. Non c’è nessuno o quasi, si sta che è una meraviglia, è che dopo poco……. wrumm, pioggia a scroscio. Davanti a quei giardini c’è una scuola di inglese per bambini, leggo che da marzo partono nuovi corsi per i bimbi e andiamo a prendere informazioni. Per i gemelli lì c’è uno spazio di gioco libero, dove loro si accomodano subito e la ragazza della reception, carina, mi dice di aspettare pure lì, finchè non smette di piovere. Così prendo informazioni per quel corso di inglese per i gemelli, che è molto più tranquillizzante visto che viene fatto a piccoli gruppi di massimo 4/5 bambini, e poi a me serve qualcosa da far fare a loro il sabato mattina, che lasci me libera di fare qualche commissione. Ok, fissiamo la prima lezione di prova, smette di piovere e ce ne andiamo a mangiare la pizza a taglio lì vicino, dove le proprietarie sono due ragazze carine e allegre che adorano i gemelli, che li coccolano e li fanno divertire nel portarli a lavare le mani e fare la pipì. Così risolto anche il problema pranzo, oltre che la mattina. A casa, pisolino (io compresa) lungo lungo, quando si svegliano fuori piove e quindi ci aspetta un pomeriggio casalingo, dove ci viene a trovare Guenda e il fidanzato (con grande paura di Emino, che quando vede apparire Guenda mi chiede subito impaurito dove io vada), giochi (adesso piace molto il gioco del bar, dove loro bevono la spremuta appoggiando i bicchieri al tavolino, come fossero al bar. Loro felici e anche io, che le spremute fanno tanto bene), Topolino alla tv, cena e a letto e grazie tanto per essere passato anche oggi.
La domenica abbiamo anche la Gangster compagnia e, tutti insieme, ce ne andiamo alla Sinagoga ad iscrivere i gemelli alla materna ebraica. Finta l’iscrizione è presto per pranzare, così ce ne andiamo a piedi alla Giostra in piazza della Repubblica e torniamo a piedi alla Sinagoga, dove avevamo lasciato l’auto, decidendo di pranzare al ristorante ebraico. Che è piccolo e raccolto, pieno di persone che vogliono godersi un tranquillo pranzo domenicale ma che sono costretti a subire i nervosismi dei gemelli, scatenati come mai, nervosi e dispettosi da far spavento. Cerchiamo di fare il prima possibile per far finire tutta quella confusione che i due fanno e scappiamo via, quasi vergognandoci. A casa il Gangster, non abituato a tanto, prende una pasticca per il mal di testa. Ci ristabiliamo solo quando quelle due piccole pesti decidono di addormentarsi dopo pranzo. Il Gangster quasi si arrabbia quando io poi, visto il perdurare del pisolino fino a pomeriggio inoltrato, li sveglio, impaurito da quei due suoi figli scalmanati. Quando io, scherzando, gli chiedo ora dove ci porti tutti? Lui mi guarda inorridito dicendo voi siete matti, con me avete chiuso.

venerdì 20 febbraio 2015

Cambio e chiudo



L’asilo che frequentano i gemelli è carino tanto. Anche se in piena zona industriale, è un prefabbricato celeste sbiadito che si affaccia su un giardino pubblico e i camion e il traffico, che per arrivare ti impensieriscono, lì zap, per incanto svaniscono. Anzi, in quel microclima incantato,si sentono gli uccellini cinguettare. La scelta di quell’asilo è scaturita da un fulmineo innamoramento, sia degli uccellini che cantavano, sia delle maestre che sorridevano generose. Visto e preso e chi se ne importa se la zona è molto popolare, se non è proprio vicinissimo casa, se il numero di bimbi in classe è numeroso. L’importante è, ci siamo detti quando con il Gangster lo abbiamo visto (e preso) che sia un ambiente piccolo e raccolto. Il resto non conta.
Così dicevamo allora, che era un anno fa. Poi, con la frequentazione, l’ambiente è iniziato a contare, anche se i bimbi sono piccoli  e sono tutti figli di Dio. Da subito, all’ingresso e all’uscita, quando si radunano i genitori, quando mi sono guardata in giro, mi sono sempre sentita strana. L’ho pensato e non detto, credendo che poi sarebbe passato. Ma non passava e ho confidato questa mia sensazione al Gangster, che ha pienamente ricambiato. Poi è successo che c’era la possibilità di far frequentare, all’intera classe, un corso di teatro in inglese. Io, ingenua e speranzosa, l’ho caldeggiato ai genitori e mi sono sentita dire no, assolutamente. Però alla festa di Halloween, che cadeva proprio in quella settimana, hanno partecipato tutti numerosi (noi no, ovviamente). E lì mi sono chiesta se quello volevo per i miei bimbi, una cena di classe (a tre anni????) al Circolo della zona, per festeggiare una festa sconosciuta. Ho stretto i denti e ho continuato l’osservazione. La sensazione di essere nel posto sbagliato continuava e anzi, si rafforzava. Facendo buon viso a cattivo gioco sorridevo e tentavo di socializzare con persone che  mai avrei frequentato, ma i nostri bimbi erano in classe insieme… Ma non funzionava, perché io mi chiedevo ma che c’entro io con questa gente?
Poi c’è stata la riunione di classe, la prima, che io ritenevo importante e alla quale sono andata sicura di trovare nel gruppo genitori un proposito educativo comune. Invece mi sono ritrovata ad una riunione che sembrava la birrata al circolo, con genitori ridanciani che si confortavano l’uno con l’altro per la poca educazione del figlio reputando i bimbi vivaci e maleducati, dei bimbi divertenti e, perché no, dei vincenti. Sono tornata a casa sconfortata. Ne ho parlato con il Gangster e lui ha sottovalutato la cosa, dicendo che ai gemelli avrebbe fatto bene frequentare un ambiente duro, con bimbi vivaci, dai quali avrebbero imparato a difendersi. Sconfortata, ne ho parlato con una maestra, paventando l’ipotesi di non far proseguire in quella scuola i prossimi anni di materna. Lei ha avuto una reazione di sconforto, si è messa la mano sul cuore e mi ha detto che le stavo dando un dispiacere, perché i gemelli danno tanto alla classe e perché loro si affezionano ai bambini. Mi si è allargato il cuore: mi son detta che se le maestre pensano questo i miei bimbi sono al sicuro e visto che tutte le mattine i due vanno volentieri a scuola, loro non avevano problemi e il problema era solo mio. Per questo avevo riconfermato l’iscrizione per il prossimo anno.
Poi succede che arrivano i pomeriggi di sole, sono ancora brevi e così decido di non andare ai soliti giardini più lontani ma di rimanere un po’ in quei giardini lì vicini, che si riempiono di tutti i compagni di classe dei gemelli. E dei relativi genitori. Mi si apre un mondo. Bimbi vivaci no, maleducati sì, genitori che non li riprendono, e una forte e strana, costante sensazione che noi lì con loro non ci entriamo niente. Anche se i gemelli sono affascinati dai bambini più violenti, sai quali devo combattere per separarli. Quasi mi cascano le lacrime a pensare che i miei due riccioli dorati cresceranno con simili personaggi. Ovviamente prima di diventare mamma pensavo che tutti i bimbi sono figli di Dio, ora che sono mamma penso che .. stai lontano da mio figlio. Guardo e ascolto i discorsi dei genitori e mi incupisco. Questo non può essere il nostro contorno. Non ci dormo per due notti. Dopo la prima notte insonne trovo la soluzione al problema elementari, scovando una scuola, ben lontana da lì, dove manderemo i gemelli. Ma dopo la seconda notte insonne, dovuta allo sconforto di dover rimanere lì comunque altri due anni, mi documento e di nuovo mi innamoro della materna privata alla quale eravamo intenzionati ad iscrivere i gemelli prima che ci prendessero in quella pubblica. Comunico al Gangster la mia decisione, come sempre gli do il tempo per pensare e, come sempre lui dopo poco mi telefona e mi dà l’ok: procedi, dice. Detto fatto: ieri cancellata la riconferma per il prossimo anno, domenica mattina andremo a fare la nuova iscrizione alla materna ebraica.

martedì 17 febbraio 2015

Il caso Paperina



Ultimo giorno di Carnevale. Ormai i giochi sono fatti: per quest’anno niente maschere, sono saltate feste e festicciole causa varie influenze e anche causa vari motivi.
Così non è stato sciolto il problema che ha investito questo Carnevale. Per gli amici e conoscenti familiarmente denominato “caso Paperina”.
All’inizio di Carnevale, quando i preparativi fervevano e le proposte di  feste impazzivano, mi sono premunita di chiedere ai gemelli da cosa si volessero vestire. Visto che il loro cartone preferito (anzi, l’unico cartone che guardano) è La casa di Topolino, subito Marghe ha detto che le sarebbe piaciuto vestirsi da Minni anzi, da Ninni, come la chiama lei. Al che, mi sembrava proprio carino formare la coppia, e ho detto ad Emino che lui si sarebbe vestito da Topolino. Lui ci pensa, dice sì e subito dopo no e mi fredda con un: “No, io da Paperina”. Al che lo correggo e gli dico: Ah, da Paperino? Lui no, continua ad affermare che si vuol vestire da Paperina. Sicuro e deciso, dimostra che non è stato un inciampo di vocale finale, era proprio Paperina che voleva dire.
Prima mia reazione: nessuno si veste in maschera e saltiamo il Carnevale (di certo era impensabile per me portarlo ad una festa vestito da femmina). Poi penso è piccolo, non se ne accorge, gli compro il vestito da Topolino e quando lui trova solo quello, da Topolino si vestirà (come poi ho fatto, ho comprato Minnie e Topolino e stop).
Poi succede che per lavoro segua un progetto sulla discriminazione di genere, dove sento dire che da piccoli non ci sono cose da maschio e da femmina ma cose che piacciono o meno e mi sento colpita e affondata. Rifletto, mi confronto con il Gangster (che è perentorio: non ti provare a vestire il mio bambino da femmina), butto lì il problema alla responsabile del progetto sulle differenze di genere che, di nuovo, mi dice che così piccoli per loro maschio o femmina non esiste e quando però allargo a conoscenti (diventando così “il caso Paperina” per molti) sento le risposte più disparate. C’è chi dice che mi capisce e che se fosse successo a lei mai avrebbe mandato ad una festa il figlio vestito da Paperina, chi invece mi dice che lo potevo accontentare, tanto era Carnevale (rivelando così una certa elasticità solo perché a Carnevale tutto è permesso), chi mi dice che lo avrebbe accontentato (ma ovviamente chi me lo dice non ha figli), chi mi racconta dei propri figli adulti che conservano foto di quando da piccoli giocavano con le bambole, cosa che amano fare anche da grandi, riferendosi alle varie fidanzate … insomma, il caso Paperina ha trovato varie risposte, tutte però fortemente di genere.
E io, come già detto, ho adottato la doppia soluzione: 1) ti compro Topolino e quello te lo devi far piacere, 2) quest’anno niente feste, lasciamo quei vestiti al prossimo anno e che un anno in mezzo porti consiglio all’aspirante Paperina che rinsavisca e accetti di diventare Topolino

venerdì 13 febbraio 2015

Poi lui si ammalò, e si accorse che lei..



Poi lui si ammalò e lamentava di essere un uomo distrutto, con un’influenza dove la febbre aveva toccato anche punte di 37,7! Non si mosse dal letto (mai visto il Gangster in pigiama tutto il giorno), non si rase, deambulò solo per prendere le sue innumerevoli medicine di cui si riempie quando è così malato grave.Ovviamente ogni tanto mi succedeva di prenderlo in giro, per lamentarsi tanto di così poco, ma venivo tacciata di ingrata e di senza cuore, così l’ho assecondato in silenzio pensando quel che tutte le donne pensano sempre: site uomini, non avete il fisico. Doveva accompagnare lui i gemelli all’asilo ma, ovviamente, non ce la faceva a uscire di casa (una così grave influenza poteva sfociare in bronchite o, addirittura, in broncopolmonite, sentenziava l’ammalato) e così è toccato andare a me ad accompagnare i bimbi, presto presto perché io sarei dovuta essere al lavoro, dove sono arrivata in rocambolesco ritardo. Poi mi ha aspettato per pranzo, chiedendo che gli portassi un tramezzino perché era così debole che poteva solo mangiare qualcosa di morbido e così io, dopo aver recuperato il ritardo del lavoro, mi sono dovuta catapultare pure a fare la spesa, per esaudire le sue innumerevoli richieste di quasi moribondo. Torno a casa un attimo, lo saluto e si fa l’ora di uscire di nuovo per andare a prendere i bimbi all’asilo. Lui, il malato, mi intima di non tornare a casa subito, perché ha bisogno della casa silenziosa per la sua degenza. Così io, grazie alla bellissima giornata, mi trattengo ai giardini con i bimbi e quando torniamo a casa i gemelli vanno al capezzale del babbo a misuragli la febbre e lui, affranto, prende e accende loro la tv perchè proprio non ce la fa a stare dietro a quei bimbi. Io nel frattempo stiro, preparo la cena, chiamo i bimbi per fare loro la doccia, li faccio cenare, li metto un po’ in camerina a leggere e chiamo lui, l’influenzato, perché si alzi dal letto di agonia per venire a cena. Ceniamo, faccio lavatrice e  lavastoviglie e, mentre lui si gode il telegiornale su divano, mi dice: “Brava sei, ma quante cose fai, sono proprio orgoglioso di te, fai tutto da sola”.
Bene, ecco a cosa è servita l’influenza: non a fare stare un giorno a riposo il Gangster ma a fargli vedere come trotta la moglie del Gangster e perché quando lui la sera torna a casa, lei gli dice sempre che è stanca.

venerdì 6 febbraio 2015

Tre e uno



Come per magia poi, le cose cambiano. O si rovesciano, oppure spariscono o vengono sostituite da altre.
Abbiamo passato l’ultimo mese terrorizzati dai risvegli notturni di Marghe, che ha passato notti chiamando “mamma Paluina vieni subito” anche cinque volte per notte, ad intervalli di un’ora, rendendo me isterica e lei spossata. Abbiamo pensato anche che fosse sonnambula, visto che la mattina dopo, interrogata, negava tutto.
Poi, improvvisamente, non si è più svegliata e ha ripreso a passare lunghe notti russando. Certo, di nuovo c’è che adesso entrambi dormono in compagnia di animali di  peluches, cosa mai successa prima.
Adesso lei si è fatta forte e decisa, di carattere. Mi saluta con un bacio umido sulla bocca, ma si stacca subito da me e corre verso la sua vita. Lui invece adesso mi sta attaccato come una cozza: vuole baci in piedi e anche in braccio, con stretta forte da parte di entrambi, torna in dietro per salutarmi ancora e si lamenta della presenza della baby sitter spiegandomi, dietro mia richiesta, che ha visto tante Guendaline….. che vuol dire che c’è stata troppe volte Guenda a sostituirmi. Per questo forse adesso, senza motivo, corre verso di me e mi abbraccia forte e mi bacia appassionato, come un fidanzato innamorato, più che un bimbo bisognoso e poi piange con la bocca in giù, come fanno i bimbi piccoli e disperati, se sente dire che la mamma non rimarrà ma verrà la baby sitter.
Lui usa sempre la forza con lei, quando vuole un giocattolo che ha la sorella glielo strappa di mano, mentre lei usa l’astuzia per avere ciò che vuole e, quando si accorge che il fratello ha un giocattolo più divertente, dice: ora cambio Mele, come se fosse obbligatorio cambiare al suo ordine.
Però quando le ho chiesto chi fosse il suo migliore amico, lei ha risposto, per due volte di seguito, Emanuele, scartando decisa tutti i nomi dei bimbi dell’asilo con i quali pensavo fosse affine.
Iniziano a giocare insieme, preparano il caffè a tavolino e portano a spasso i loro nuovi animali di peluches tenendoli per guinzaglio, avventurandosi nel giro della casa insieme mentre si accompagnano con risate e dialoghi ai quali io sono esclusa.
A volte li ho sorpresi anche ad intrattenersi facendo gli indovinelli, imitando quelli che faccio io a loro, è solo che loro iniziano rivelando subito l’animale, tipo, invece che dire: qual è quell’animale che ha il collo lungo… loro dicono subito: qual è quella giraffa che ha il collo lungo…
Nel silenzio della loro cameretta, la mattina presto o la sera prima di addormentarsi, cantano insieme le canzoni che imparano all’asilo, una vera passione quella del canto per loro,  anche sele altre  passioni continuano ad averle diverse: lei adora disegnare, lui adesso vuol solo suonare la chitarra e le percussioni, improvvisando una batteria con quel che trova in casa, basta che produca suoni diversi.
E io me li godo divertita, nella loro vena artistica che spero di aver insegnato loro a coltivare e spero che li accompagni per tutta la vita

mercoledì 4 febbraio 2015

Ho sentito dire cinema



Il martedì sera è sacrosanto. Ciao a tutti, io vado al cinema con la mia amica LGP.
Unica amica rimasta fra quelle “prima dei gemelli” (le altre si sono defilate tutte), io e lei, appassionate di cinema e, soprattutto bisognose di film, ci siamo mantenute un giorno nostro di cinema, al quale non manchiamo mai. Scegliamo sempre qualche film proiettato nei cinema vicino casa, l’orario è il primo serale o, addirittura, l’ultimo pomeridiano e, che piove o che nevichi, che qualcuno pianga o brontoli, io saluto tutti e la raggiungo.
Quando erano piccoli i bimbi non si accorgevano di niente, si addormentavano presto e io uscivo quando loro già dormivano, poi ho iniziato a salutarli dicendo che andavo al cinema e loro, non capendo bene cosa volesse dire, mi salutavano tranquilli sicuri che sarei tornata dopo poco.
Poi si sono fatti grandi, al cinema dove vado sempre li ho pure portati una volta, ma solo a comprare un biglietto per un mio spettacolo serale, in modo che loro vedessero come è fatto e dove era il famoso cinema, e hanno iniziato a realizzare che quando io vado lì, loro rimangono in casa senza me.
A questo si è sommato anche, ultimamente, un eccessivo uso della baby sitter, dovuto al fatto che non ho più permessi al lavoro e ho anzi, molte ore pomeridiane da fare in più, cosa che ha fatto essere molto presente Guendalina e molto assente la sottoscritta.
Per questo, penso, siamo arrivati alla saturazione: Emino mio, la settimana scorsa, mi ha fatto promettere, con tanto di stretta di mano e parola d’onore data da me, che saremmo stati tre giorni da soli senza vedere la baby sitter. Gliel’ho promesso e ho anche ben mantenuto la promessa.
Però, povero piccolo mio, lui deve essere stato proprio colpito da questa mia tanta assenza che, nei tre giorni solo nostri, mi ha fatto ridere quando, noi tre soli in casa, lui a un certo punto si è fermato e mi ha detto impaurito:”Mamma, sento la voce della Guenda”, quando della Guenda non c’era neanche l’ombra….. Un'altra volta invece mi ha detto, di nuovo impaurito: Mamma, ho sentito dire cinema..”. Per questo ieri sera, di nuovo martedì e di nuovo al cinema, quando l’ho raccontato a LGP, ci siamo ritrovate a ridere e abbiamo adottato quella frase come nostro motto: ho sentito dire cinema

lunedì 2 febbraio 2015

Due giorni interi



Non l’avrei mai pensato, ma ci sono riuscita.
Un fine settimana intero in casa con i gemelli.
Una prova che avrebbe impaurito anche Mary Poppins.
Era troppo piovoso per uscire e, quando non pioveva, era troppo freddo per uscire.
Ci siamo riusciti, senza neanche troppe Case di Topolino viste, un cartone animato must per i due, praticamente l’unico vero interesse che hanno in questo periodo.
Ovviamente loro spontanea sveglia alle 7, mentre i giorni in cui devono andare all’asilo quando esco di casa alle 7,40 ancora dormono beati. Invece questo fine settimana alle 7 ho sentito soavi vocine che mi chiedevano: Mammina, dove andiamo ora? E lì, con la pioggia battente che imperversava e la neve che ci circondava, ho capito che sarebbe stata dura.
Invece poi abbiamo giocato a fare la spesa, hanno giocato a fare il caffè (con tanto di documentato momento “bar” sul tavolino davanti al divano, del quale ormai si sono appropriati). Ho provato anche, sabato pomeriggio, a proporre loro la visione di un film intero, Lilly e il Vagabondo, per vedere se insieme riuscivamo, propedeuticamente, ad iniziare i nostri futuri “pomeriggi al cinema”. Ma i due non hanno seguito la storia e dopo un’iniziale paziente finta attenzione, hanno richiesto La casa di Topolino e ho dovuto rinunciare al nostro primo cartone lungo.
Unico momento di svago all’aperto, a parte l’inaspettata la pizza del sabato sera con il Frafratello, babbone e nonna, è stato domenica mattina, in un piccolo intervallo fra la pioggia furiosa che ha imperversato in questi due giorni, quando mi sono detta approfittiamone ora e….. viaaaaa, mettiamo gli stivali di gomma e andiamo a saltare nelle pozzanghere! Grande divertimento loro (che, in effetti, sono sempre contenti di tutto), boccata d’aria mia, e poi di nuovo a casa.
Quando li ho messi al letto domenica sera mi sarei data una medaglia da sola ma, ad onor del vero, avrei dato una medaglia anche a loro, piccoli pulcini pazienti che dove li metti e dove stanno.