martedì 24 febbraio 2015

Storia del we



Come sempre, ogni fine settimana porta la sua storia, anche se le previsioni lo darebbero per tranquillo e sonnolento
La storia dell’ultimo we è questa.
Sabato mattina partenza via, presto presto tutti fuori che dobbiamo andare ad inglese. Hello, bye bye uauaiu (how are you, in gemellese), che dovevano (nelle mie intenzioni) iniziare i sabati mattina al Canadian, istituto madrelingua inglese dove il sabato mattina è possibile portare i bimbi a fare varie attività. In teoria era bellissimo, dovevano essere gruppi di massimo 5 bambini, dovevano stare tutta la mattina, dovevano… e invece ci ritroviamo in un caos disorganizzato, io rimango lì con i bimbi, impaurita come loro per il grande affollamento di bambini di varie età e per la totale assenza di un progetto educativo delle educatrici (che hanno l’unico pregio di essere madrelingua, per il resto zero), con Emino stretto alla mia mano che mi dice: “Mamma andiamo via, a me qui non mi piace” e io che avrei tanto voluto rispondergli Amore, non piace neanche a me, certo che andiamo via, ma che non l’ho fatto perché non volevo che lui imparasse che quando un posto non gli piace la mamma lo salva. Siamo un po’ rimasti lì, ho constatato che non era quello che volevo e così, alle 9 siamo arrivati e alle 10 siamo usciti. Che si fa a quest’ora, con un tempo che minaccia pioggia? Ci fermiamo in una pasticceria a riflettere, che davanti ad una brioches a me passa tutto. Mente fredda, ecco la prima soluzione: telefono ad una mia ex collega che abita lì vicino. Mi scuso per l’ora e per la maleducazione, e mi invito a casa sua. Lei si trova spiazzata (ma io lo ero di più, sola con i bimbi…) e così troviamo rifugio da lei, anche se dopo poco capisco che è l’ora di salutare. Via in macchina, è sempre presto, ancora non piove e così andiamo ai giardini vicino casa. Non c’è nessuno o quasi, si sta che è una meraviglia, è che dopo poco……. wrumm, pioggia a scroscio. Davanti a quei giardini c’è una scuola di inglese per bambini, leggo che da marzo partono nuovi corsi per i bimbi e andiamo a prendere informazioni. Per i gemelli lì c’è uno spazio di gioco libero, dove loro si accomodano subito e la ragazza della reception, carina, mi dice di aspettare pure lì, finchè non smette di piovere. Così prendo informazioni per quel corso di inglese per i gemelli, che è molto più tranquillizzante visto che viene fatto a piccoli gruppi di massimo 4/5 bambini, e poi a me serve qualcosa da far fare a loro il sabato mattina, che lasci me libera di fare qualche commissione. Ok, fissiamo la prima lezione di prova, smette di piovere e ce ne andiamo a mangiare la pizza a taglio lì vicino, dove le proprietarie sono due ragazze carine e allegre che adorano i gemelli, che li coccolano e li fanno divertire nel portarli a lavare le mani e fare la pipì. Così risolto anche il problema pranzo, oltre che la mattina. A casa, pisolino (io compresa) lungo lungo, quando si svegliano fuori piove e quindi ci aspetta un pomeriggio casalingo, dove ci viene a trovare Guenda e il fidanzato (con grande paura di Emino, che quando vede apparire Guenda mi chiede subito impaurito dove io vada), giochi (adesso piace molto il gioco del bar, dove loro bevono la spremuta appoggiando i bicchieri al tavolino, come fossero al bar. Loro felici e anche io, che le spremute fanno tanto bene), Topolino alla tv, cena e a letto e grazie tanto per essere passato anche oggi.
La domenica abbiamo anche la Gangster compagnia e, tutti insieme, ce ne andiamo alla Sinagoga ad iscrivere i gemelli alla materna ebraica. Finta l’iscrizione è presto per pranzare, così ce ne andiamo a piedi alla Giostra in piazza della Repubblica e torniamo a piedi alla Sinagoga, dove avevamo lasciato l’auto, decidendo di pranzare al ristorante ebraico. Che è piccolo e raccolto, pieno di persone che vogliono godersi un tranquillo pranzo domenicale ma che sono costretti a subire i nervosismi dei gemelli, scatenati come mai, nervosi e dispettosi da far spavento. Cerchiamo di fare il prima possibile per far finire tutta quella confusione che i due fanno e scappiamo via, quasi vergognandoci. A casa il Gangster, non abituato a tanto, prende una pasticca per il mal di testa. Ci ristabiliamo solo quando quelle due piccole pesti decidono di addormentarsi dopo pranzo. Il Gangster quasi si arrabbia quando io poi, visto il perdurare del pisolino fino a pomeriggio inoltrato, li sveglio, impaurito da quei due suoi figli scalmanati. Quando io, scherzando, gli chiedo ora dove ci porti tutti? Lui mi guarda inorridito dicendo voi siete matti, con me avete chiuso.

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