Abbiamo ripreso ad andare al
nostro adorato giardino dello Stibbert, dopo che la primavera ci aveva sorpreso
impreparate e avevamo passato dei pomeriggi in odiosi giardini pieni di mamme
che guardano a vista i loro bimbi e che quindi, ovviamente, si lamentavano dei
nostri che non guardiamo da vicino scivolare dallo scivolo o dondolare dall’altalena
(come ritengo giusto succeda in un giardino pubblico, dove i bimbi devono
imparare la convivenza e la condivisione e non a perpetuare il loro
individualismo con le mamme come carabinieri pronti a difenderli dagli altri
bimbi)
Quindi, emozionate, io e la
grande compagna di questa avventura di avere i bimbi, superVale, ce ne siamo
tornate nel nostro giardino incantato, dove non ci sono scivoli né altalene,
dove i bimbi non vanno perché è il giardino di un museo, ma dove ci sono prati
di margherite, laghetto con paperine, alberi di ogni tipo e profumi e suoni di
natura. Ci siamo fatte le nostre soste nelle nostre care panchine, aspettando
che i nostri tre bimbi giocassero nel “castello” che niente altro non è che un
agglomerato di rocce che loro scambiano per un fortino, oppure che salutassero
le statue dei cavalli e dei leoni come se fossero animali veri, per finire
davanti al laghetto dove le paperine sempre ci accolgono sperando di ricevere
un po’ da mangiare. Ci siamo sedute su quelle nostre panchine, come abbiamo
fatto per tutta la primavere e estate scorsa, abbiamo giocato e guardato
giocare i nostri bimbi e ci sembrava di essere in paradiso. Peccato che, come
poche volte capita nella vita, sapevamo che quei nostri momenti sono contati, perché
loro due, i nostri grandi amici di avventura, Vale e Martins, si trasferiranno
da giugno a Varese e per due anni, e
dico due anni, non qualche mese, se ne staranno là, senza di noi e, soprattutto
noi senza di loro. Ora, lo so che per loro sarà molto più dura che per noi, che
loro là non conoscono nessuno e non hanno riferimenti alcuni, che due anni
passano e poi che la distanza non è insormontabile quindi torneranno spesso a
trovarci, ma questo a me non mi rende tranquilla per niente. Anzi, come pensavo
che non accadesse, sento dentro già il vuoto e quando sono con loro poco mi
godo di quella loro grande compagnia, perché, maledizione, sono già tarata sul
futuro dolore per la loro assenza. Perché con Valeria tutto è più facile, perché
a lei racconto tutto quel che mi succede e questo è un regalo grandissimo, perché
insieme ci incoraggiamo e ci stimoliamo, perché i nostri bimbi insieme fanno
già gruppo, condividono e si affiatano come forse neanche sembra, creando e
tessendo un legame prezioso che stiamo loro regalando. Io mi sono prefissa, per
salvarmi, di passare i prossimi due anni tirando il fiato e tappandomi il naso,
per non sentire “la puzza” delle altre mamme, che poco, mi sono accorta, hanno
da condividere con me. E mai come in questo preludio di addio, mi sono resa
conto, ancora più forte di quanto già sapevo, di che regalo la vita mia abbia
fatto a farmi conoscere Valeria. E questa frase ce la siamo detta anche con il
Gangster, quando una sera a cena parlavamo di lei, e ci siamo scoperti entrambi
ad affermare che Valeria è un regalo della vita. Grazie amica mia
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