sabato 19 aprile 2014

Cent'anni di solitudine

E' morto Gabriel Garcia Marquez, morte che non permetterà però ai suoi libri di sparire con lui, anzi.
Leggere Cent'anni di solitudine è stato il mio spartiacque, c'è stata una me prima di quel libro e una me dopo quel libro. 
Sia come lettrice che come persona. 
In quelle pagine ho trovato le parole che non riuscivo a dire, ho trovato una vita che mi apparteneva che non potevo raccontare, ho trovato tutta la magia e la ricchezza che avevo dentro. 
Per questo vi donerò quelle pagine, un giorno, sperando che...

Vorrei che tu, mio fiorellino bianco, ti appassionassi a quella  scrittura come mi ci sono appassionata io, e che Cent'anni di solitudine ti rapisca là dentro da non permetterti poi più di uscirne, neanche quando il libro è finito, perché ormai il mare che esplorerai dentro quelle pagine fa parte di te, perché in fondo là dentro ci sei anche te, in quel mondo magico in cui io ti sapevo da sempre figlia mia, anche senza saperlo, e che probabilmente ne sono diventata cosciente quando ho letto quel libro la prima volta, felice di aver scoperto che un prima e un dopo non esistono, che ci sono appartenenze che non si spiegano ma che ti dominano e che ti permettono di legarti sangue e corpo, come lo sono io con te, come lo siamo noi due: stessi occhi, stessi capelli, stessi pensieri. 
Vorrei che quel libro ti donasse la libertà di non sentirti più sola nel tuo mondo inventato, nel tuo mondo reale che per gli altri sicuramente sembrerà inventato, nei tuoi pensieri che si formano come intrecci dove pochi avranno accesso e sarai fortunata se, come è successo a me, avrai una mamma che ti capirà e pure un marito che, se proprio non ti capirà fino in fondo, rispetterà quel tuo modo di essere: essere qui ma non esserci, sempre in bilico su quel trapezio volante dei pensieri e delle tue emozioni segrete. 
Vorrei che tu fossi fortunata nel trovare la forza di scrivere altre parole belle come quelle, o anche meno sì, immaginati, perché più belle di quelle non so se ne potranno essere scritte, ma che quella lettura ti doni la libertà di buttarti a scrivere quello che la tua anima ti detta, senza giudizi, senza precisione, senza senso. Ma con un bel senso per te.

Vorrei che tu, mio piccolo uomo forte e delicato, ti perdessi dentro Cent'anni di solitudine per trovare di nuovo questa tua mamma, che in fondo ti ha cresciuta come se tu fossi un personaggio di quel libro, che ti ha dato la spinta a imparare tante parole nuove e ad usarle con fantasia. Vorrei che tu imparassi di nuovo là dentro che il mondo ruota un po' in avanti e indietro, che è l'anima e soprattutto l'amore che lo guida, come anche la magia, cosa che già tua sorella conosce e per questo anche te sei abituato a vedere, con quei morti che appaiono e con le loro anime che ci fanno compagnia. 
Vorrei che tu riconoscessi in quelle pagine il profumo del pane o meglio, il profumo di questa tua famiglia, il calore della vita e il gelo della solitudine, gli abbracci anche quando non ci sono e le parole che danno forma agli impeti della tua anima. 
Vorrei che tu usassi la tua forza per manovrare le parole, come succede in quel libro, e la tua delicatezza per lasciarti trasportre da quelle parole indisciplinate che dominano pensieri nel quali, spero, tu ti ritroverai.

Ad entrambi auguro che quel libro sia uno dei più belli che leggerete, e a questa nostra famiglia auguro che quel libro sia il nostro libro da leggere insieme.
Come se fosse questo libro che vi sto scrivendo.

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