venerdì 24 gennaio 2014

Resta di stucco, è un Barbamimma

Ti svegli in un lampo la mattina, quando vengo a chiamarti e ti trovo addormentata. Basta che ti gratti un po’ la schiena che subito apri guardinga un occhio, stai un attimo a riflettere su quello che stai vedendo e poi zap, in piedi come una molla pronta a gridare "Buondondo", che più che un buongiorno sembra una contrazione di buongiorno mondo, soprattutto per l’entusiamo che metti nell'urlarlo al mondo intero.
Questa mattina invece hai durato fatica a tirarti su  dal tuo lettino e, ancora calda di sonno, ti ho ritrovato sul seggiolino al tavolo che stavi quasi dormendo. E lì, in quell'atteggiamento, non so perché, ma ho capito che ti stai facendo grande, anche se già l’avevo sospettato dal tuo viso che si trasforma, da quel doppio mento che ti è venuto che ti fa assomigliare sempre più al tuo babbo, dai pantaloni che ti stanno corti e dai modi di sognorina che sono adesso tipici tuoi.
Ieri mi hai fatto vedere, teatralmente, come sai starnutire bene. Fai un bel respiro, mandi la testa indietro e, fortissimo, parti con un eeeeeeetcì, che accompagna lo scuotimento del capo in basso. Ma prontamente fai dimenticare quella scena stile Bud Spencer, con il tuo portare composta, subito dopo, il fazzoletto al naso in un gesto delicatissimo di tamponamento, come tu  fossi la Principessa Delfina.
Ieri anche, cara Mimma mia, ci hai dato un’altra lezione delle tue. Con tuo fratello vi eravate divisi equamente (o per lo meno in un accordo tutto vostro dal quale il resto del mondo è escluso, ma che per voi vale come un patto segreto) un gioco che ci ha regalato Valeria per Natale. E’ una scatola contenente un flauto componibile in vari modi e con tanti pezzi: tu avevi la parte che suona, tuo fratello stava tentando di comporre, con la sua solita flemma da ingegnere, tutti gli altri componenti, che hanno una parte che si infila e una parte che va infilata, ad incastro, che per i bambini non è proprio facile da caprie, ma che lui si era messo lì a provare  e riprovare, anche con il mio aiuto. E tu fischiavi nel flauto allegramente, ignorando (pensavo io) quello che stava facendo lui. Poi lui ti ha dato, in quell’alternanza tacita che solo voi capite, quella parte del suo gioco per avere in cambio quella parte che avevi te. Lui, al contrario tuo, non sapeva fischiare nel flauto e glielo ho dovuto insegnare e mentre lo facevo, tu zitta zitta hai preso i pezzi da incastrare, li hai incastrati tutti senza chiedere niente e soprattutto senza mai sbagliare e, in più, li hai chiusi in una collana circolare. Resta di stucco, è un barbatrucco, oserei dire.
Lo stesso fai quando tuo fratello mi chiede tutti i nomi delle figure che vede nei suoi amati libriccini, vuol sapere e risapere, li memorizza e poi, dopo, ripete. Tu non guardi, non vuoi sapere, ma quando capiti lì davanti e io sto interrogando tuo fratello su quale nome corrisponda a quel disegno, tu butti lì il nome esatto, come se io te lo avessi insegnato anzi, come se tu lo avessi sempre saputo. E invece magari ti è capitato solo di sentirlo dire, senza guardare, mentre facevi altro.
E anche quando siamo andati due giorni fa a casa di Martino, dove tu eri stata quest’anno solo una volta, mesi fa, per il suo compleanno,  davanti a quel portone, in quella via dove mai passiamo, hai detto Martino qui, facendomi rimanere stupita per essere andata a colpo sicuro davanti a casa sua.

Io che posso dirti: che stai crescendo, che dal doppio mento che hai assomigli sempre più al tuo babbo ma che, per queste doti di imparare senza durare fatica, sei proprio come me, la tua mamma che ti ammira tanto e che tu fai tanto ridere. Sentivo oggi in televisione che, a seguito di vari esperimenti, geni non si diventa ma si nasce. Io non spero tanto per te, spero solo di farti libera, anche se fosse solo libera di non dover imparare, perché come succede a me, capisco e quello basta per sapere.

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