martedì 16 dicembre 2014

Contro ogni insegnamento pedagogico

Da due settimane eravamo sprofondati, sorprendentemente, di nuovo nelle notti insonni. 
I gemelli che dai nove mesi di vita sono stati messi in camera da soli quando ormai erano arrivati al momento di saltare le sveglie per il latte notturno, e che da allora hanno iniziato a dormire ininterrottamente per tutta la notte, ci avevano abituato proprio male.
Poi è successo che, una sera di circa 15 giorni fa, ad Ema si è rotto il ciuccio. Io e il Gangster, impauriti dalla catastrofe che si si prospettava, siamo corsi in farmacia a comprare un nuovo ciuccio, portando quello vecchio come esempio, cercando di controllare, per il nuovo, la somiglianza al vecchio in tutto e per tutto, anche mettendolo un po' in controluce, per vedere se fosse proprio proprio come quello rotto. Ma niente, del ciuccio nuovo il piccolo non ne voleva sapere. Voleva il vecchio e basta. Così ci siamo arresi  immaginando  terrorizzanti  notti insonni sentendo il bimbo piangere alla ricerca del suo ciuccio. Ma, sorprendentemente, così non è stato. Il ciuccio nuovo ce l'ha tirato dietro schifato, quello vecchio ha voluto constatare ripetutamente che era proprio rotto, e si è rassegnato. Zap, si è messo a dormire tranquillo e non l'ha più cercato. Sì, proprio lui che ultimamente, per consolarsi, di nuovo, come quando era piccolo, appena arrivava a casa andava a pescare quel suo oggetto del desiderio e se lo cucciava con voluttà e, si vedeva, con bisogno. Mentre la sorella, come sempre più avanti del fratello, teneva il ciuccio solo per non essere da meno di lui, per la loro tacita regola che se uno ha una cosa, per forza debba averla anche l'altro. Così ho colto la palla al balzo, tolto  il ciuccio a lui, ho detto anche a lei che basta, che era grande e che quindi anche lei ne avrebbe fatto senza come stava facendo il fratello. Non si è scomposta, come mi aspettavo, e si è addormentata tranquilla. Però non mi aspettavo che, nella notte, quella che si svegliasse urlando fosse lei. All'inizio ho pensato che fosse la prima o la seconda notte, per la novità di non trovarsi l'oggetto consolatorio magari al risveglio di un brutto sogno. Invece i suo risvegli urlando mamma arriva sono diventati una prassi. E per me un incubo. Io che se mi sveglio di notte non riesco a dormire, sono sprofondata di nuovo nell'incubo delle notti insonni, con sveglie di soprassalto alle 1 e alle 4 e alle 6, che mi mandavano fuori di testa. Ho provato ad essere accogliente, a consolarla per tutto il tempo che voleva, poi ho iniziato ad avere freddo e mal di schiena, poi ho iniziato a indispettirmi e a perdere la pazienza. Poi ho iniziato a brontolarla, contro ogni principio pedagogico, riprendendola severamente la mattina, al risveglio, ricordandole quante volte avesse pianto la notte e chiedendole insistentemente di dirmi il perché. Poi mi sono scoperta anche a dirle che se la notte si svegliava, da vera bambina grande, non doveva chiamare la mamma ma provare a riaddormentarsi da sola, mettendosi la coperta sulle spalle, e lì ho visto i suoi occhioni di bambina piccola che mi hanno detto no, insieme ad una vocina impaurita. Così mi sono vergognata di averglielo chiesto e ho continuato ad andare a consolarla la notte. Poi ho avuto un'idea: ieri sera, in una serata in cui i due erano particolarmente amorosi l'uno verso l'altra, in cui si chiamavano amorino e si chiedevano le cose per favore, ho colto la palla al balzo e, mentre li mettevo a letto, ho detto a Margherita di non piangere la notte, perché se aveva bisogno poteva chiamare il fratello lì vicino che la proteggeva, e gliel'ho anche chiesto di dire ad Emino, alla sorella, che lui le voleva tanto bene,  e che ci pensava lui a lei. E cosa è successo questa notte? La bimba si è svegliata, non si è messa ad urlare chiamandomi, ma l'ho sentita chiamare il fratello con voce bassa. Ovviamente il fratello non si è svegliato, lui che piomba in un sonno profondo che lo sentiamo russare dalla camera nostra al piano di sopra. Ma lei non si è disperata, è rimasta tranquilla e si è riaddormentata. E sembra che la soluzione, anche se non pedagoccamente corretta, abbia funzionato.

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