Sei nata che urlavi, con una voce
così potente che all’ospedale, nel reparto dove stavi con tutti gli altri
neonati nati pretermine, gli infermieri dicevano “basta non pianga Margherita” perché
i tuoi due chili possedevano una voce così tuonante che svegliava tutti. In
effetti ancora oggi hai quel tono caratteristico dell’urlo potente che ti è
valso, come primo soprannome, quello di MariaCallas.
Sei stata la prima che ha
gattonato, mangiato e camminato, e anche scavalcato i divisori che misi fra te
e il fratello quando ormai non potevate più dormire nella stessa culla. Lo
attaccavi e lo ciucciavi, mentre lui rimaneva stupito e piangeva così piano che
non si sentiva.
Poi lui ha imparato ad alzare la
voce insieme alle mani e tu hai imparato a non urlare più così tanto per
protestare e le botte che ricevi, spesso gratuite, te le prendi e zitta.
Ecco, ora io proprio non posso
più vederti così silenziosa. Non posso pensare che sei una bambina che subisce,
non posso pensare che hai già imparato ad ingoiare e che hai imparato che
forse, i tuoi bisogni non sono così importanti, come in fondo ci hanno abituato
a fare da sempre a noi donne.
Ti ho un po’ tenuto d’occhio, ne
ho parlato anche con il Gangster e stamani, finalmente, ne ho parlato con una
nuova amica, conosciuta per lavoro, ma che ha preso a cuore, come dice lei, i
miei gemelli, anche se non li conosce. Lei si occupa di sorveglianza di genere
e, al mio racconto di quanto la mia Marghe subisca dal fratello e, a quanto
pare, un po’ anche dalle altre amiche dell’asilo, mi ha descritto un po’ come
posso fare per intervenire. Mi ha detto che faccio bene a preoccuparmene, che
non è troppo presto ma anzi, è il momento ora che non avvalli la bocca
sigillata della bimba ma che la stimoli ad aver stima e fiducia in se stessa,
attraverso il riconoscimento e l’affermazione dei suoi bisogni. Prima cosa devo
parlare insieme ai due bambini e, con gentilezza, spiegare ad Emanuele che
picchiando la sorella le fa un dispiacere, in modo che anche per lui valga la
lezione di non far del male al prossimo e in particolare a quella prima figura
femminile con cui si rapporta, insegnando così al signorino i propri limiti e iniziarlo
con una educazione affettiva nei confronti degli altri in genere e dell’altro
sesso in particolare, che gli sarà utile in futuro. A lei devo dire che io
conosco la sua voce e che la voglio sentire, che deve imparare a esprimere i
suoi dolori, le sue frustrazioni e anche le sue gioie, che se le regole verso
le quali lei è così rispettosa sono quelle del non si picchia, quando la tua
amica del cuore però ti delude tirandoti i capelli, oppure il fratellino caro
ti strappa di mano il gioco perché lo vuole lui, si risponde non scappando, ma
si reagisce, anche picchiando, urlando e ribellandosi. Perché lei deve imparare
e riconoscere che vale e quanto vale, e avere la forza di affermarsi. Ora e in
futuro. Perché la mia Marghe ha una testa di capelli scompigliati che
incorniciano come un’aureola di fiori di campo una bimba brillante e risoluta. Che
ha il diritto di avere la sua voce.
Vai, piccola
grande guerriera mia, conquistati la tua parte di mondo.
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