C’è stato, per un giorno intero,
all’asilo, supplente di mattina e supplente di pomeriggio, nuove entrambe. Lunedì
sono andata a prendere i bambini all’asilo, alla fine di quella giornata e sono
stata fermata in corridoio dalla custode, che mi ha detto che Ema era stato per
tutto il giorno esagitato, tanto che lo avevano dovuto isolare. Quando sono
entrata in classe mi si è presentato un bambino stravolto, con occhi come palle
e viso gonfio. Mi si è stretto il cuore a vederlo così e me lo sono portata via
sicura che questa situazione doveva finire. Siamo andati ai soliti giardini
Stibbert, riparati dalla calca, dal sole e in compagnia di Greta e della sua
mamma, entrambe serene e tranquille che hanno avuto il potere di
tranquillizzarci tutti: Ema e Marghe giocavano con Greta a fare le torte, si è
aggiunta un’altra bambina e poi altre due gemelle e sembrava un mondo
incantato. Sì, Emino ogni tanto ci provava a sparecchiare tutto, ma in quel
clima sereno, fatto di bambini educati e ragionevoli, ha smesso anche subito e
si è ben adeguato al gioco costruttivo. Un altro bimbo era diventato, anche in
viso, quel mio bimbo che fino ad un paio di ore prima era stravolto e che
invece ci ha accompagnato tranquillo fino al fischio del guardiano, quindi alle
7 del pomeriggio, senza neanche farci accorgere accorgersi che il tempo
passava. Siamo tornati a casa con un’altra leggerezza, cena doccia e a letto. Certo
poi nella notte ci ho ripensato e quando il Gangster è tornato tardi, gli ho
raccontato l’accaduto e anche lui è rimasto colpito. Tanto che la mattina ci
siamo entrambi svegliati presto e siamo andati in camera dei bimbi per
abbracciarcelo forte, che mio bimbo combattivo e combattuto. Lui non ha saputo
spiegarci perché il giorno prima era così esagitato, neanche la sorella lo
sapeva, certo io non avevo voglia di ributtarlo in pasto ai leoni senza
difenderlo. Va detto che ero pronta anche a rimettermi in discussione, tanto
che, la prima telefonata che ho fatto la mattina è stata alla pediatra, che è donna tutta di un
pezzo, severa e giudice autoritario. Gli ho raccontato l’accaduto e lei, che
conosce i bimbi perché li ha seguiti nella crescita, mi ha urlato si levi dagli
psicologi e si levi da quella scuola. Era anche pronta, lei che i certificati
medici non li fa volentieri neanche per la broncopolmonite, a farmi un
certificato per il lavoro per tenere un po’ il bambino fuori da quel giro. Ma
no, non si scappa, mi sono detta, le paure e i problemi si affrontano, di nuovo
tutti all’asilo fino alla fine ma certo è che alla Preside qualcosa dovevo
dire, chiederle appunto che lavoro avessero fatto le maestre sul gruppo classe
che ha permesso, per un giorno intero, che il mio bambino tenesse in smacco
tutti, e rendesse così stralunato lui. Non l’ho mai trovata e forse è stato un
bene. Mi sono fatta anche un piantino con una mia collega che ha un bimbo piccolo che lo cresce con gli stessi
dettami miei, quelli che, come li chiamo io, sono “di assoluta povertà” e lei
mi ha consolato dicendo che anche il suo lo fa giocare spesso con le bimbe, che
sono più tranquille, che non lo porta in posti dove si può sovreccitare e che,
al mio racconto, aveva solo voglia di stringerlo forte, quel mio bambino e poi
che la smettessi di dire che lui è birbone, che secondo lei va solo
valorizzato, invece che sempre ripreso.
Mi acquieto un po’, anche se il
cuore è sempre dolorante. Così mi regalo una uscita anticipata dal lavoro e
vado a vedere il nuovo asilo dove i gemelli andranno dal prossimo anno. Mi
accoglie la maestra con un sorriso deciso e parole ferme, mi dice che lei è
severa ma che i bambini l’apprezzano proprio per quello, che lì si lavora molto
all’aria aperta e con la natura, si osservano le piante dell’orto, le nuvole e
lombrichi e che si punta molto all’indipendenza. Esco con una pace ritrovata
nel cuore. Certo, quando vado a riprendere i miei due scriccioli all’asilo,
chiedo alla maestra se le posso parlare, inferocita ancora per quel contenitore
senza contenuti che è quell’asilo. Lei mi dice che anche lei mi deve parlare, e
mi racconta di un Emanuele agitato da settembre, che ora, a periodi, è molto
peggiorato ma che lei ritiene che sia soprattutto stanchezza. Volano scintille,
lei si offende perché ritiene che io l’accusi di non aver fatto nulla per tutto
l’anno, io mi altero per non aver avuto contatti concreti sul problema che
Emanuele era in quella classe. Lei allora dice che Emanuele non è un problema,
è solo un bambino che sfida all’eccesso senza saper gestire la sfida. Io le
dico che sono pronta a rimettermi in discussione come mamma e come educatrice,
ma lei mi dice che non ci sono problemi di ruolo o di figure genitoriali, che
ha visto ben di peggio, che devo solo aver la pazienza che lui cresca. Certo,
non ha colto il mio dubbio su tutte le opportunità che quella classe e quindi
anche i miei bimbi hanno perso nel perdere così tempo a inquadrare i birboni,
però a lei sembrava normale con bambini così piccoli. Via, basta, capitolo
chiuso anche se lei ha detto che è disposta a parlarne con la Preside e con noi. Ce ne
andiamo tutti al campo di una mia collega, i bimbi sono felicissimi di cogliere
le susine dagli alberi e di riconoscere la frutta diversa per ogni albero, di
rotolarsi nel prato e camminare nell’erba alta come loro e far finta di essere
nel bosco. Ci facciamo tutti delle sane e grasse risate, anche quando torniamo
a casa, tanto che di premio, visto che stiamo tutti così bene, è arrivato
addirittura un gelato. Felici se lo mangiano, felici si fanno fare la doccia
dal loro babbone e, messi poi a letto, li abbiamo sentiti cantare, nel buio
della loro cameretta, fino alle 10 di sera.
Io credo, criticamente, di essere
una mamma che con Emanuele ha mollato in rigidità e, per quieto vivere, ha
chiuso con lui spesso un occhio. Tanto che mi sono scoperta poi anche, di
conseguenza, a trascurare Margherita che spesso si trova a far da sola perché devo
stare dietro al fratello. Credo anche che niente è definitivo e per caso, tanto
che Margherita, mi ha detto ieri la maestra, è all’asilo una bambina autonoma e
leader, che tiene banco, interviene e sa il fatto suo con gli amici, che mette
tutti in riga. Credo quindi che questo eccesso di indipendenza abbia, alla
fine, favorito lei e penalizzato lui. Certo è che adesso studierò nuove
strategie affinchè al mio bambino non venga attaccata una indelebile etichetta
di birbone, che è sinonimo anche di futuro asino a scuola, visto che a questa
età si lavora sulle regole e l’attenzione, fondamentali strumenti per lo
studio.
E così da oggi anzi, da ieri, si rincomincia tutto da capo. E il primo
giorno del punto e a capo, quello di ieri, è stato uno dei più felici degli
ultimi anni
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